Questo è un assaggio del libro LE VIE DEI LIBRI di Franco Del Moro
LIBRI E ARENA
(a Roma per “Più libri, più liberi”)
Armi
e bagagli rotti.
Se la mente
è la fiamma, il mondo è il combustibile.
Quando ci
si chiude troppo a lungo in un buco il combustibile finisce e allora anche il
fuoco delle idee si estingue, e tutto appare vuoto freddo e grigio come un
capannone industriale abbandonato. Quello è il momento di costringersi a fare
la valigia e mettersi in viaggio, se non si vuole diventare stelle morte.
Sant’Agostino
scrisse che il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una
pagina. Quando si fa il piccolo editore di campagna, come me, fare un viaggio
alla ricerca di nuovi stimoli è quasi sempre sinonimo di andare a una fiera
libraria dove, mal che vada, di pagine se ne leggono parecchie.
Ed è
proprio per cercare nuovo combustibile per alimentare il piccolo fuoco di Ellin
Selae e sconfiggere il nulla editoriale che avanza, che mi sono rimesso in
viaggio con armi e bagagli verso Roma per la terza edizione di “Più libri, più liberi”.
A proposito
di armi: all’andata, su un espresso sferragliante, di notte, suggestionato da
Russel Crowe ne “Il Gladiatore”, che avevo visto il giorno prima, pensavo
al Palazzo delle Esposizioni, sede della fiera, come al mio Colosseo, i libri
come le armi di battaglia, gli altri editori come le belve feroci da cui
difendersi, e il pubblico… beh, il pubblico è sempre il pubblico: decide lui
chi vive e chi muore. Valeva per i gladiatori duemila anni fa, vale ancora oggi
per gli editori.
A proposito
di bagagli: con questi pensieri sono quindi arrivato alla stazione Termini di
mattina presto con la grinta di un gladiatore che sta per entrare nell’arena,
ma, appena messo piede a terra – straaapp! –
ecco che una spallina dello zaino si spezza a metà aprendo uno squarcio
di venti centimetri e facendo cadere dappertutto libri, penne, lo spazzolino,
equipaggiamento vario.
Cominciamo bene. Altro che Russell Crowe, possibile che ogni volta che gonfio il petto con orgoglio nel giro di tre minuti mi succede sempre qualcosa che mi riporta allo stadio primitivo di perfetto baùscia?
Oltre a
questo senza lo zaino io sono come un tennista senza la racchetta, un cuoco
senza il mestolo, un pianista senza lo sgabello, un falegname senza la pialla…
Cosa
farebbe un vero gladiatore se scoprisse che gli hanno dato uno scudo rotto?
Niente, cercherebbe di cavarsela con quello. E così ho fatto: annodata la
spallina, tamponato lo strappo con un sacchetto di plastica, mi sono trascinato
lo zaino mezzo rotto per tutta la settimana romana perdendo di tanto in tanto
un pezzo per strada.
Per fortuna
non sono un perfezionista, ho sempre pensato che su questa Terra dove caso e
caos regnano sovrani, i perfezionisti fanno una vita d’inferno, però devo
onestamente dire che anche il contrario dei perfezionisti, ossia i
“pressappochisti arronzati”, non fanno una vita troppo soddisfacente…
Comunque
sia, entrato nell’arena le legioni erano già sul campo ad aspettarmi. La
battaglia stava per cominciare, era tempo di spiegare l’esercito.
Traduzione:
i centoquaranta chili di libri e riviste spediti nei giorni precedenti erano
già arrivati allo stand; l’inaugurazione della fiera era prevista in tarda
mattinata quindi era il momento di occuparsi del vero ‘lavoro editoriale’:
aprire scatoloni, spostare pile di libri, montare scaffalature e via dicendo.
Chi pensa che fare l’editore significhi stare comodamente seduto in poltrona a
leggere libri di filosofia e intrattenere conversazioni intellettuali sui
destini della letteratura è probabilmente uno che crede ancora in Babbo Natale
e nei governi che riducono le tasse.
Dato che
ero giunto alla fiera praticamente per primo volevo approfittare della calma
(che sempre precede ogni battaglia) per ritirare in segreteria i pass e i
biglietti prima che la mandria degli editori facesse ressa intorno alle
graziose segretarie preposte...
La porta
della segreteria era socchiusa, qualcuno era già dentro, così ho bussato e una
voce di ragazza ha chiesto: “chi è?”.
“Un
rompiscatole!”, ho risposto.
E lei: “Ah,
un editore…”
Mannaggia
come può essere raggelante una risposta diretta e sincera: non ha avuto neppure
mezzo secondo di esitazione nell’associare aggettivo e soggetto.
Probabilmente
se con un colpo di bacchetta magica si potesse far sparire d’improvviso tutta
l’ipocrisia che c’è nel mondo e nei rapporti fra gli uomini, si scatenerebbero
tali e tanti conflitti che la razza umana si auto-estinguerebbe in un bagno di
sangue nel giro di ventiquattr’ore. Forse è per questo che dire la verità è
un’abitudine così poco diffusa nell’ambito delle relazioni sociali.
Scoprii
comunque che non tutti i partecipanti alla fiera sono considerati rompiscatole
dalle graziose segretarie: ero tornato negli uffici per altre questioni quando
all’interfono di servizio, di cui tutte le ragazze dello staff erano dotate, a
un certo punto si è sentito forte chiaro un uomo, sempre dello staff,
annunciare: “A tutte le signore interessate, Marco Liorni è in fiera!”.
Le ragazze
dando per scontato che io sapessi chi è Marco Liorni, si sono schernite con
risolini e sguardi ironici. Io ho annuito ma senza nulla afferrare.
Solo più
tardi ho saputo, chiedendo in giro, che il tale in questione è un tizio che ha a
che fare con il “grande fratello” televisivo… nooo… superato lo scoramento è
subentrato il desiderio di capire, e questo mi ha spinto a chiedere ai miei
vicini di stand, l’Editoriale Scienza, che pubblicano splendidi libri educativi
per bambini, come mai quando si è piccoli si impazzisce per i dinosauri, la
nascita della Terra, gli animali della foresta, i vulcani, l’universo… e poi,
nel giro di pochi anni, ci si riduce alla Gazzetta dello Sport, ai calendari
delle modelle e al “grande fratello”… ma mi è parso di capire dalle risposte
vaghe e incerte che nessuno sa con certezza cosa succeda a un certo punto della
vita per cui l’attività intellettuale viene dirottata dalle sfere celesti ai
gironi infernali della spazzatura culturale.
E pensare
che questo percorso di crescita viene definito “maturazione”…
Molte
persone quando acquistano un libro chiedono insieme un sacchetto. Gli editori
seri hanno delle belle buste personalizzate; anche a me piacerebbe averle ma
non ce le ho perché costano e perché sono un editore sgarruppato, così vado
alle fiere con una strategica “borsa di borse” che contiene, accuratamente
ripiegate a triangolo, tutte i sacchetti della spesa che recupero, appunto,
dalla spesa.
E così
quando mi chiedono una borsa, anche se sono a una prestigiosa fiera nazionale,
tiro fuori un sacchetto dell’Ipercoop, oppure della Lidl o dell’Eurospin… che
sono i posti, appunto, che frequento per il mio sostentamento domestico.
Questa cosa
deve aver colpito Anna Bignami (nipote del mitico Ernesto, fondatore
dell’omonima casa editrice, sulle cui edizioni tutti gli intellettuali italiani
degli ultimi settant’anni si sono formati, anche quelli che oggi scrivono tomi
di ottocento pagine), perché dopo avermi visto servire una persona con un fantastico
sacchetto ‘Maxisconto’ è andata di corsa al suo stand ed è tornata con una
risma di eleganti sacchetti nuovi che mi hanno permesso poi di fare bella
figura per tutto il resto della fiera.
Ma a parte
la bella figura assicuratami dai sacchetti di casa Bignami, per tutto il resto
della fiera, assai più del solito, ho collezionato una incredibile serie di
quelle che a Roma si chiamano “grezze”, ossia “figure di m.”
Si vede che
ci sono portato dato che effediemme in effetti sono anche le mie iniziali…
Per esempio
a un certo punto si avvicina un prete, guarda un po’ i libri e poi mi chiede un
catalogo. Io glielo do’ dicendogli: “serve a indurre in tentazione!”, e lui:
“ma noi insegniamo a superarle tutte”. E io: “ma a vederla non si direbbe,
anzi!!”.
Il fatto è
che l’umorismo sgraziato non si limita a screditare chi lo esercita, ma a volte
ha anche delle conseguenze economiche: una signora si avvicina, scruta
attentamente le copertine dei libri e ne sceglie un paio. Poi mi guarda e con
aria assorta dice: “Prima o poi dovrò affrontare i miei tormenti!”. E io:
“magari è solo stitichezza”. La signora si incupisce, rimette i libri a posto e
gira i tacchi senza salutare. Ecco come perdere per sempre una cliente.
Ma la
“grezza” peggiore di tutte l’ho fatta proprio con dei colleghi di prim’ordine.
C’è una
piccola casa editrice napoletana che si chiama Cronopio e che pubblica eruditi
saggi di estetica e filosofia. L’anno precedente eravamo vicini di stand,
stavolta invece erano in un corridoio diverso, così sono passato a salutarli.
Tutto andava a meraviglia se non che l’area cerebrale dove alloggia la
coglionaggine si è attivata di sorpresa e così a un certo punto, non so nemmeno
io come, pensando di conquistare dei punti con una battuta fantastica, ho
detto: “ma sapete che Cronopio è l’anagramma di “O porconi”?!?…
Jerry
Lewis, Fantozzi, Franco & Ciccio, Totò, Berlusconi… ma chi sono! Io sono il
vero re della battuta deficiente, quando mi ci metto!
Più tardi,
colpito dalla mia incredibile incongruenza cerebrale, sono andato a cercare
consolazione da Adriano Gallina, un altro editore napoletano presente in fiera
e, al fine di non lasciare infruttuosa la triste esperienza, mi sono fatto
scrivere in napoletano il monito fondamentale a imperitura memoria del fatto,
ossia di quella volta che cedetti con leggerezza alla tentazione di fare colpo
con una battuta spiritosa e alla fine ebbi soltanto a dire: “aggio fatto
proprio ‘na figura ‘e mmerda”.
Per tutta
la fiera mi sono tenuto il papiro bene in vista sullo stand onde impedirmi di
continuare a cercare di fare il simpatico. Ma alla fine si vede che questa mia
spontanea scemenza capitolina era diventata “ambiente”, come si suol dire,
perché a un certo momento è arrivata un coppia, si è piazzata davanti allo
stand e dopo avermi guardato negli occhi, nonostante io non avessi aperto
bocca, sono scoppiati all’unisono in una fragorosa risata. E mentre io cercavo
di capire perché, la coppia se n’è andata. E nessuno – a parte loro – saprà mai
cosa gli era passato per la testa.
Io però un
sospetto ce l’ho: forse erano amici di quelli di Cronopio.
Disordini
psicotici e insegnamenti filosofici.
Questi
episodi devono aver slatentizzato un’ombra di psicosi nel mio cervello perché
nei giorni successivi ho cominciato a scoprire di essere portatore di strani
disturbi ossessivi compulsivi. Per esempio una mattina, mentre mi lavavo i
denti in albergo, a un certo punto mi sono accorto che non riconoscevo più i
miei denti. Proprio così: guardavo gli incisivi dell’arcata inferiore e mi sembrava
addirittura di averne uno in più! E quanto più mi dicevo che non era possibile
che mi fosse spuntato un dente nottetempo, tanto più mi convincevo che io quel
dente lì non lo avevo mai visto prima.
O come
quando, in un altro momento, fra le monete da 50 centesimi ne ho trovata una da
200 lire (che, come ricorderete, ha colore e dimensione identici ai 50
centesimi) e questo mi ha turbato in maniera insulsa, sino a quando una persona
compassionevole mi ha fatto notare che duecento lire equivalgono a dieci
centesimi, quindi, essendoci ancora dieci anni di tempo per cambiare le lire in
euro se io avessi portato la moneta da duecento lire in banca avrei guadagnato
ben 40 centesimi, pertanto quello che pensava di avermi fregato rifilandomi la
moneta da duecento lire era invece un fesso. Fantastico! Quaranta centesimi di
guadagno netto, mi aveva veramente risollevato… peccato che mezz’ora dopo mi
convincessi che la moneta da duecento lire mi era stata appioppata non al posto
di una da cinquanta centesimi ma di un’euro, ricadendo così nello sconforto
ossessivo.
Aggiungo
anche che ho dovuto fare i conti non soltanto con le mutazioni psichiche, ma
anche con quelle biologiche: dopo 14 anni ho rivisto Walter Rodriguez, un
intellettuale argentino con cui avevo stretto amicizia ai tempi in cui io
vivevo a Milano e lui girava l’Europa per motivi di studio; mentre ci
stringevamo la mano ci siamo detti all’unisono: “come sei ingrassato e che
pochi capelli che ti sono rimasti. Si vede che passi troppo tempo sui libri!…”.
Ora tutto
questo deve far seriamente riflettere coloro che intendono intraprendere la
carriera intellettuale, giacché, e lo dico in un momento di rara lucidità,
abusare della propria mente può talvolta fare l’effetto contrario a quello
sperato, ossia rendere ottusi psicotici e ansiosi oltre misura anche le persone
più dotate.
Figuriamoci
quindi cosa può succedere a quelle meno dotate…
Insomma, a
parte questi risvolti patologici (più comuni di quanto si creda fra chi fa un
mestiere prevalentemente intellettuale), ho anche cercato di sfruttare la
straordinaria concentrazione di uomini di pensiero che si verifica in questo
genere di occasioni per risolvere alcuni dubbi di più ampio respiro che mi ero
preparato nei giorni a monte della fiera. Sarebbe stupido non approfittare di
avere uomini saggi a portata di mano per porre loro questioni filosofiche,
specie quando si fa parte, come me, di quelle persone che sono sempre in cerca
di risposte.
Così ho
fatto.
Per tutta
la durata della fiera ho posto a diversi scrittori questo quesito: come si può
vivere serenamente pur avendo la consapevolezza che ci sono altri esseri
viventi intorno a noi che invece versano in uno stato permanente di sofferenza?
E non intendo solo donne e bambini, ma anche animali: creature trattate come
schiave, maltrattate, oggetto della crudeltà di uomini ignoranti e meschini.
Anche ora, adesso (proprio mentre state leggendo questa riga): a pochissima
distanza da dove vi trovate ci sono esseri costretti a soffrire giorno e notte,
ventiquattrore su ventiquattro.
Come vivere
sapendo questo? Come accettarlo?…
Ma nessuno
degli intellettuali da me interpellato ha saputo darmi risposte soddisfacenti,
anzi, mi guardavano strano, sebbene la compassione dovrebbe essere un perno di
tutte le scuole di pensiero filosofiche.
In compenso li ho visti appassionarsi
in gran dibattiti “culturali” intorno al cibo, al vino, alla qualità della
ristorazione al di qua e al di là del Tevere, e ho potuto constatare quanti
scrittori contemporanei più che di questioni morali sono esperti di
enogastronomia.
Il mondo della cultura è pieno di
gente che ha a cuore la propria attività digestiva e gastrointestinale assai
più della sofferenza delle creature, il che mi fa pensare che a tutti gli
uomini funziona bene lo stomaco, solo a qualcuno funziona bene anche il
cervello, a pochissimi anche il cuore.
E così,
come faccio sempre, quando non trovo le risposte negli uomini le cerco nei
libri. E sebbene i libri siano prodotti dagli uomini stessi, talvolta dicono
più di quanto i loro stessi autori pensano o credono di aver detto. Spulciando
i libri presenti in fiera ne ho trovati due che sono serviti, almeno in parte,
a fornirmi delle idee utili.
Nel primo
di questi libri (1) è scritto: «Richiede un salto iniziale di fede vedere
un’altra realtà nell’esperienza del dolore. È difficile resistere all’oscurità
ed al dolore».
Il salto di
fede si riferisce allo scopo divino che il dualismo (bene-male, gioia-dolore,
amore-odio…) ha nella vita materiale.
Senza le
spinte negative «…non vi sarebbe offerta la scelta tra il buio e la Luce»; ma…
«queste energie non sono padrone, sono servitrici della volontà di Dio, anche
se sarebbero le ultime ad ammetterlo».
Un po’
troppo mistico per i miei gusti, ma Dio in definitiva è solo una delle tante
parole per definire la coscienza universale, il magnete che attrae verso i
livelli superiori della coscienza tutti gli esseri viventi, il volàno che tiene
in movimento tutto il motore dell’evoluzione…
Comunque è
difficile riuscire a vedere dietro a tanta sofferenza gratuita, come quella per
esempio di un cane-schiavo che nasce e muore alla catena senza aver mai provato
il conforto di una carezza, uno spirito che ha accettato la difficile missione
di diventare bersaglio di “energie negative”… eppure sento, da qualche parte
nel profondo, che deve essere proprio così, invece: creature che accettano il
compito di venire qui a soffrire (di una sofferenza vera, reale, non simulata)
per insegnarci qualcosa, la compassione forse.
«Nulla
esiste nel mondo umano che non sia divino» e tutto (anche l’oscurità e il
dolore) «…in verità è sotto la guida dell’Amore, della Luce e della Verità».
In altre
parole bisogna imparare ad accettare che queste “forze negative” sulla Terra ci
saranno sempre, e sempre troveranno il modo di manifestarsi: «Man mano che
accetterete – non ciecamente, non con indifferenza – ma con una sempre più
profonda consapevolezza – le circostanze inevitabili dell’esistenza umana,
diventerete sempre più un’espressione della vostra Luce».
La
sofferenza e la violenza vanno dunque viste come una promessa futura di pace e
amore, per questo occorre «la forza di resistere, di parlare e di testimoniare
una fede profonda nella Luce», e occorre soprattutto liberarsi dalla paura e
dal tormento: «la violenza è dolorosa per voi che guardate da un livello
superiore, (non migliori ma certamente più saggi) e guardate con tormento il
tormento che crea il tormento. (…) Quando esprimete un giudizio su queste cose
limitate la realtà di Dio alla vostra comprensione umana».
Detto in
altri termini, da una prospettiva divina l’oscurità di fatto non esiste, tutto
è espressione del disegno divino che porta al trionfo dell’amore; nella
sofferenza… «state scoprendo chi siete. State modificando le convinzioni che vi
portarono nel vostro mondo fisico: la convinzione che esista l’oscurità, la
convinzione del potere della paura… Tutte queste cose ci sono perché voi
impariate, ma siete voi che le avete portate. Il vostro credere in queste cose
le ha create».
Infine
questo è il pensiero che più mi ha confortato: «Per quanto il dualismo del
genere umano possa sembrare onnipervadente, la saggezza universale è sempre
presente per abbracciare e proteggere».
È
consolatorio, perché rivela che anche se in forma nascosta, promiscua, quasi
clandestina, esiste sempre un soccorso invisibile per chi soffre troppo. Questo
concetto viene ribadito anche a proposito dei bambini che soffrono o muoiono di
fame: «I bambini stanno sulla terra da così poco, che ancora non hanno
dimenticato chi sono in realtà. Noi (ossia gli spiriti angelici) entriamo
costantemente in contatto con loro ed offriamo loro incoraggiamento. Di notte
li abbracciamo e li colmiamo d’amore».
Insomma,
alla fine, in un modo o nell’altro, sono riuscito a risolvere il mio cruccio
sulle ragioni dello stato di sofferenza permanente in cui versano alcune
sfortunate creature.
Meno male
che non ci sono solo scrittori impegnati a conoscere il mondo dei vini, ma
anche il mondo in cui vivono, e meno male che ci sono, soprattutto, i loro
libri.
La nostra è
un’epoca caratterizzata da ipereccedenza e ridondanza, il che ci costringe
continuamente a fare i conti con l’inutilità. Ci sono troppe cose, di cui molte
inutili: troppi alimenti, troppi farmaci, troppi giornali, troppe banche,
troppi canali radiotelevisivi, troppe automobili, troppi svaghi, troppi
oggetti, troppi siti internet…; ci sono anche troppe attività umane, di cui
molte inutili: troppi giornalisti, troppi presentatori, troppi comici, troppi
chirurghi plastici, troppi strizzacervelli, troppi webdesigners, troppi
venditori, troppi burocrati, troppi operatori finanziari… e anche troppi
scrittori. Io stesso sono di troppo: sto scrivendo questo pezzo consapevole del
fatto che il mio scrivere è inutile, probabilmente sarebbe meglio se smettessi
oggi stesso di scrivere, perché non dirò mai nulla di nuovo né meglio di come
l’hanno già detto infiniti altri prima di me.
Perché
infatti il vero problema non è tanto il troppo, ma l’inutile: nessuno si
lamenta di essere troppo amato o di avere troppi amici e non ha nulla da
obiettare che ci siano ‘troppe’ opere d’arte, troppe belle donne, troppi
teatri, troppi libri, troppi film… ciò che è difficile da sopportare è la
sproporzione fra questi eccessi “positivi” rispetto a quelli fatti di cose vuote,
superficiali, brutte e inutili.
L’inutile
toglie vitalità, ruba tempo e risorse psichiche alle persone, le rende deboli e
tristi anche se regala l’illusione di aver sconfitto (ma l’ha poi fatto
realmente?) la noia e il senso di vuoto.
Quanta
parte del prezioso tempo della nostra vita viene assorbito dai parassiti
dell’intelligenza prodotti dal nostro mondo plastificato e ipocrita?
Quante
persone conosciamo che dedicano il loro tempo a cose inutili e superficiali e
che appaiono, grazie a questo, più interessanti e amabili?
Anche se il
momento storico che stiamo attraversando è particolarmente oscuro, la speranza
risiede nel fatto che ogni persona desidera, in realtà, arricchire la propria
vita di idee intelligenti e cose utili. La tecnologia sembra rispondere a
questa esigenza ma, in realtà, in quanto a versatilità, praticità, durata ed
economia la tecnologia migliore di tutte, l’unica oltretutto a interagire in
profondità con le nostre facoltà di astrazione e immaginazione, resta ancora il
libro.
Una
sentenza indiana, carpita da un libro furtivamente sfogliato in fiera, dice:
«Colui cui manca l’intelligenza, che si farà dei libri? A che serve lo specchio
a chi è privo di occhi?»
Al di là
dell’incasso e dei contatti di lavoro (che contano relativamente), questa
visione è ciò che mi sono riportato a casa al termine della fiera di Roma, ed è
esattamente ciò che speravo di trovare quando sono partito: una ragione per
continuare a fare libri e cultura, in un’epoca in cui il paradigma dominante è
fare soldi…
Non è cosa
da poco: dal confronto fra queste due aspirazioni dipende la qualità del mondo
futuro.
Si direbbe
uno scontro impari, praticamente Davide contro Golia.
Eppure
anche in quel caso la storia non andò nella direzione che sembrava più ovvia…
P.S. In
treno, al ritorno, per passare il tempo mi sono inventato un passatempo
letterario: scrivere fascette surreali per promuovere libri senza meriti.
Eccone una decina.
1 - “Il
miglior libro che ho letto nell’ultima mezz’ora.” (John W. Scaccabiricchio, The Times New Roman).
2 - Prima e
ultima copia della prima e ultima edizione.
3 - 93’
edizione (una copia ogni edizione).
4 - In
America avrebbe sicuramente già venduto uno o due milioni di copie. Forse anche
tre.
5 -
Chiunque può leggerlo perché chiunque avrebbe potuto scriverlo.
6 -
Vincitore del premio No-bel (very-brutt).
7 - “Se
leggerete questo libro dopo non vorrete più leggerne altri”. (The Bookman Old Style)
8 - “Con
questo libro l’autore si è fatto di nuovo riconoscere” (Bruno Vespasiano, Il
Corriere della Repubblica);
9 - “Io non
lo avevo mai letto prima”. (Ken Worverk Folletto)
10 - “Un
emozionante mozzafiato sensazionale che vi catturerà e non potrete più smettere
inchiodati”.
Il gioco è
aperto a tutti: inviateci le vostre “fascette surreali” e, come si diceva un
tempo, “le migliori saranno pubblicate”. Alla prossima fiera!
Note
1 – I due
libri a cui si fa riferimento sono Il libro di Emmanuel e Il secondo
libro di Emmanuel, di Pat Rodegast e Judith Stanton; Crisalide edizioni.
* * *